In una sala d’attesa pediatrica, una madre osserva il referto del vaccino del bambino e si chiede se quel piccolo gesto può davvero tenere lontane le bronchioliti. È un’immagine che racconta la nuova stagione della prevenzione: il sistema immunitario non è più solo una difesa passiva, ma un campo su cui agiscono terapie sempre più mirate. La capacità delle cellule immunitarie di riconoscere e neutralizzare minacce — dai virus ai tumori — è ciò che decide spesso l’esito di una malattia. Tuttavia, quando la risposta si altera, possono nascere allergie, patologie autoimmuni o infiammazioni croniche che complicano la vita quotidiana.
Per questo motivo la medicina ha cominciato a interventire non solo a valle, curando i sintomi, ma a monte: modulando l’attività immunitaria con farmaci biologici e controllando i fattori che la influenzano. Un dettaglio che molti sottovalutano è il ruolo dell’ambiente: cambiamenti climatici e l’aumento degli agenti chimici hanno modificato l’esposizione dell’essere umano, creando nuove sollecitazioni alla risposta immune. In questi mesi la conoscenza dei meccanismi immunitari è al centro delle scelte cliniche, dalla prevenzione nei neonati alla gestione delle malattie croniche.
Il sistema immunitario sotto attacco
La composizione dell’ambiente in cui viviamo è cambiata rapidamente rispetto ai millenni in cui l’uomo si è evoluto. Questo ha portato a un aumento delle cosiddette malattie da esposizione: ipersensibilità, allergie e reazioni a sostanze nuove. Nel contesto urbano, chi vive in città lo nota ogni stagione con l’allungarsi della stagione dei pollini e con l’aumento di sostanze inquinanti che aggravano le riniti e le asme.

Secondo medici e specialisti, la prima difesa è la prevenzione: una dieta che preservi la funzionalità della barriera intestinale e l’equilibrio del microbiota contribuisce a modulare le risposte immunitarie. Ridurre alimenti proinfiammatori come zuccheri raffinati e cibi ultra-processati è una raccomandazione pratica che si ripete nei consulti. Anche la cura della pelle, evitando detergenti aggressivi e mantenendo l’idratazione, è parte della strategia per non compromettere la barriera cutanea.
Per capire se il sistema immunitario è bilanciato, oggi si ricorre anche a esami di laboratorio mirati: semplici esami del sangue possono rivelare squilibri nelle popolazioni cellulari o segnali di infiammazione che predispongono a infezioni o patologie croniche. Un fenomeno che in molti notano solo d’inverno è la ricaduta di problemi apparentemente banali — una rinite trascurata, una dermatite — che se non trattati per tempo tendono a cronicizzarsi e a complicare la gestione clinica.
Biologia applicata: marcatori e terapie condivise
La ricerca ha mostrato che molti disturbi condividono meccanismi immunitari comuni. Questo ha aperto la strada a un approccio più razionale: misurare i marcatori dell’infiammazione permette di scegliere farmaci che colpiscono i bersagli giusti. In diverse malattie — dalle malattie infiammatorie intestinali alla sclerosi multipla, dalle dermatiti all’asma — si trovano mediatori sovrapponibili, e per questo alcuni trattamenti possono essere efficaci in contesti diversi.
Un esempio pratico è la broncopneumopatia cronica ostruttiva: identificare il tipo di infiammazione sottostante consente di spegnere i meccanismi che mantengono la malattia attiva. Questo è il motivo per cui, in molte strutture italiane, la scelta terapeutica viene sempre più guidata da test che identificano il profilo immunologico del paziente. Un aspetto che sfugge a chi vive in città è che il paziente non è solo l’organo colpito — pelle, polmone o intestino — ma un organismo complessivo dove l’immunità agisce come un direttore d’orchestra.
La possibilità di usare lo stesso farmaco per condizioni diverse accelera l’accesso alle cure. Farmaci già approvati per una malattia possono essere valutati per altre con meccanismi simili, riducendo i tempi di attesa per i pazienti. Romano Danesi, farmacologo, sottolinea come la mappatura dei mediatori infiammatori aiuti a puntare alla remissione clinica, non solo alla riduzione dei sintomi. Un dettaglio che molti sottovalutano è che, in alcuni casi, la normalizzazione dei mediatori può persino perdurare dopo la sospensione del trattamento, modificando la storia naturale della malattia.
Anticorpi monoclonali: precisione e prevenzione
Negli ultimi anni gli anticorpi monoclonali hanno trasformato il modo di intervenire sull’immunità. Si tratta di farmaci biologici molto precisi, che agiscono come “cecchini” contro un singolo bersaglio molecolare. Questa precisione è fondamentale tanto per la cura quanto per la prevenzione: in Italia la nuova campagna di immunizzazione dei neonati contro il virus respiratorio sinciziale ha usato un anticorpo per proteggere i più piccoli durante i mesi più a rischio, oscurando una proteina virale necessaria all’ingresso nelle cellule.
Oltre alla prevenzione, la medicina immunologica sta sperimentando trattamenti che rallentano o prevengono malattie autoimmuni: in alcuni centri è stata eseguita la prima infusione di teplizumab, un anticorpo che può ritardare l’esordio del diabete di tipo 1 intervenendo su risposte immunitarie eccessive. Allo stesso tempo, farmaci come dupilumab hanno dimostrato che un singolo meccanismo può essere bersaglio comune in malattie diverse, offrendo nuove opzioni ai pazienti con infiammazioni di tipo 2.
La produzione di anticorpi è oggi supportata da piattaforme flessibili, che permettono di sviluppare terapie con tempi più rapidi rispetto al passato. Un fenomeno che in molti osservano nella pratica clinica è la crescente collaborazione tra specialisti: allergologi, dermatologi, pneumologi e gastroenterologi stanno lavorando insieme per identificare i profili immunologici più adatti a ogni paziente. Restano però fondamentali la prevenzione e il controllo precoce delle patologie: intervenire per tempo, con dieta equilibrata e monitoraggi appropriati, continua a essere la base per non lasciare che l’infiammazione prenda il sopravvento.
