Oltre la fatica, oltre la gara. La StrongmanRun è fatta di storie che restano addosso come il fango.
Dal dolore alla rinascita
Giulia Martini, 39 anni, insegnante, ha corso l’edizione 2024 dopo una lunga battaglia contro un tumore. “Ogni ostacolo era un anno di terapia”, racconta. Al traguardo l’hanno accolta in lacrime marito e figli.
Il gruppo che ha cambiato la vita
A Trento, un gruppo di colleghi di un’azienda metalmeccanica partecipa ogni anno con la maglietta “Mai soli”. Si allenano insieme all’alba. “All’inizio era uno scherzo – spiega Mauro, 48 anni – ora è la nostra terapia di squadra.”
Lo spirito di comunità
Secondo un sondaggio condotto da SportItalia, il 72 % dei partecipanti iscrive motivazioni personali più che competitive. “Qui si corre per esserci, non per vincere”, afferma la psicologa dello sport Elisa Zanetti.
Il messaggio finale
Alla fine resta la sensazione di aver superato non un muro, ma se stessi. La StrongmanRun è più di una corsa: è un rito collettivo dove il fango diventa libertà.
